Quando nei primi anni Settanta Checco Loy e Massimo Altomare decidono unirsi nel gruppo che avrà per nome i loro cognomi, entrambi hanno poco più di vent’anni. Si incontrano in Inghilterra e la simbiosi fa sciogliere per l’uno e per l’altro incertezze ed esitazioni. La Cbs li mette sotto contratto e già nel 1973 esce “Portobello”, il loro primo album. L’anno dopo si ripetono con “Chiaro”, che però fa anche da anticipo a una lunga stagione di silenzio.
Quando cinque anni dopo, complice la CGD, il duo torna finalmente sul mercato, è la volta di “Lago di Vico (m. 507)”, realizzato con la produzione di Alberto Vito Pirelli, che qualche anno dopo avrebbe fondato la I.r.a., lanciando, tra gli altri, Litfiba e Diaframma. I tempi sono cambiati rispetto alla prima metà del decennio e l’album è uno specchio importante di questo mutamento, dove le ferite sociali diventano protagoniste di un discorso di durezza anche stilistica, influenzata – seppur da lontano – dall’incedere di punk e hard rock. Per il pubblico è un colpo non da poco, anche perché le radio, eccetto forse quelle libere, fanno un passo indietro e lasciano il disco al suo destino. Che sarà quello di un cult del rock italiano degli anni Settanta. Finalmente da riscoprire.