Ecco l’impero dei doppi sensi” è il quinto album di Homunculus Res, che chiude un ciclo durato dieci anni.
Dopo le elucubrazioni attorno alla condizione umana, attraverso le metafore degli elementi naturali, il complesso siciliano non poteva che approdare alla trascendenza, sempre in un’ottica inesorabilmente nichilista e col consueto umorismo che qui diventa più oscuro e in certi casi addirittura assente.
Ogni riferimento all’umano, la società, la storia, viene evitato il più possibile. Tutto il senso tende ad essere astratto. Il tema è una continua divagazione sul non tangibile: quintessenza, assenza, etere, vuoto cosmico e interiore, limiti del linguaggio e dell’universo, monadi distrutte e ricomposte, ricordi del futuro, sensi, non sensi, doppi sensi, figure retoriche, numeri; sono suggestioni che ricorrono spesso nelle canzoni.
Canzoni con ampi spazi strumentali, come ci hanno abituati, con il loro particolare stile pop-rock progressivo melodico con strutture irregolari, che qui si fa ancora più asciutto ed essenziale, anche se non mancano episodi di ricchezza strumentale che raggiungono il parossismo, grazie ai diversi musicisti d’eccezione, italiani e stranieri, che partecipano con fiati, voci, strumenti esotici e antichi. Non mancano rimandi al numero 5, non ultimo la durata dell’album di cinquanta minuti.
Non c’è volontà di comunicare alcunché o, per meglio dire: c’è la volontà di non comunicare niente – mentre lo si sta facendo.
Gli Homunculus Res non hanno nulla da dire, e infatti non lo dicono.