A un anno esatto dal suo sorprendente esordio, Agosta, il musicista-non-musicista catanese e Space Echo Records ritornano sul punto con “Reworks and Remixes”. Che sin dal titolo si sgancia dalla filiera industriale ‘album+remix album’ e all’ascolto si rivela un disco capace di muoversi, in totale autonomia dal suo antecedente, su tre livelli diversi di lettura. Poiché, alla base, diremmo, c’è un’idea molto più stimolante della semplice compulsione da alternative version, b-side e via discorrendo.
Punto 1, la trasfigurazione. Perché, contrariamente allo stereotipo di genere, la modalità del remix permette alle canzoni di esprimersi in modo creativo e sperimentale.
Punto 2, il Test Rorschach. Perché, su quelle canzoni, c’è la personalità, cioè il risultato della visione incrociata con l’esperienza, dei singoli producer che si misura con se stessa.
Punto 3, il fondale scenico. Cioè la sua capacità di mostrare uno spaccato dell’attuale scena elettronica etnea.
Agosta ha voluto con sé alcune delle colonne portanti della scena elettronica catanese di matrice black e, insieme a loro, ha riletto le canzoni del suo primo album. Il risultato è un lavoro tanto sfaccettato, per il peso specifico delle individualità artistiche in gioco, quanto omogeneo, nella loro idea di un sound tanto fisico quanto mentale e, soprattutto, per un gusto di fondo totalmente mediterraneo di cui è impregnata ogni singola traccia.
Che si tratti dell’house pensosa di Apple 65 o di Lady G (Butterfly Agosta’s Rework) come del dub di AN-AN su “Varanni”, tra Grace Jones e Adrian Sherwood, o di quello più psichedelico e crepuscolare del Trip-Hop in punta di piedi di Galathea su “Three Chestnuts”. La spavalderia alla Shaft di Salvo Borrelli e Reverend James, il donwnbeat pop di Cellars di Go.Soul.Map. e la carezza di Lady G In A Rainy Version, di Invisible Session, in cui spoken e quello che un tempo chiamavano nu jazz flirtano.