Il Mitteleuropa Ensemble pratica anche l’improvvisazione (nozione certo non sconosciuta nei Balcani), mediata però attraverso il mezzo improvvisativo che la tradizione africana-americana ha diffuso grazie all’articolazione del jazz (non stupisce perciò l’apparizione del blues, canto di universale sofferenza per definizione, in una pagina come “Beograd“). Balkan Project, se vogliamo, realizza con raffinata opera di pensiero la versione moderna, cosmopolita, volutamente instabile, di quelle orchestre popolari che nei Balcani hanno sempre provveduto alla diffusione musicale nei piccoli centri. Anche qui troviamo delle assonanze, perché se nella Germania del 1800 i piccoli gruppi orchestrali popolari o di ottoni venivano denominati kapelle, ecco che questo termine si trasforma in yiddish in “kapell” o “kapelyie“, mentre fra la popolazione Rom, diffusa in tutti i Balcani e musicalmente estremamente presente, esso si adatta in kapelnik. Dalla Serbia alla Macedonia, i gruppi di ottoni appartengono a una tradizione creativa particolarmente accentuata, che prende l’avvio proprio dalle bande militari presenti nella tradizione ottomana, e che sostituirono, a partire dal 1828, le formazioni mehterhane dei giannizzeri, contribuendo anche alla progressiva scomparsa dell’antico oboe tradizionale (zurna, zurla o mizmar, ancora oggi comune in Serbia) e degli strumenti a percussione. Così, se nelle kapelyie ashkenazite si incontrano strumenti come il clarinetto e il violino, in quelle più tipicamente balcaniche si incontrano la tromba (trompeta), la cornetta (korneta), il sassofono (saksafon), che si alternano con il clarinetto (klarinet), la tuba, la fisarmonica (armonika) e il tamburo (tapan) o il darabuka. Anzi, proprio i Rom mantengono i maggiori legami con quella Turchia da cui cominciarono a emigrare sin dal XIV secolo, e preservano anche le tecniche di respirazione circolare che erano patrimonio dei suonatori di oboe. Altresì, temi più appassionati e romantici ricevono in turco il nome di gazel, derivato dal termine arabo ghazal, laddove la bellezza muliebre è paragonata a quella della gazzella nel deserto. Gli stessi temi sono denominati, rispettivamente, in macedone e in serbo, sevdak e sevdalinka, ma il concetto non è diverso, in quanto trattasi di termini che derivano dal turco sevda, che significa – non casualmente – passione o amore. In poche parole: che gli stili balcanici siano Turska (turchi), Romska (Rom), Bulgarska (bulgari), Romanska (romeni) o Srpska (serbi), sono evidenti la molteplice contaminazione a più livelli e – allo stesso tempo – una forte, radicata identificazione etnica.