La liricità di Chet Baker, una delle più importanti trombe del dopoguerra, non si può mettere in dubbio, perchè Chet nelle sue espressioni musicali,
sia canore che strumentali, rimane essenzialmente un romantico. Egli si inserisce a meraviglia in un contesto creato intorno a lui e per lui, un
contesto che trova nella sonorità della sua tromba o nell’opacità della sua voce un elemento di primo piano, dominatore e nello stesso tempo
attraente ed affascinante. Chet con il valido aiuto dei due arrangiatori Ezio Leoni e Giulio Libano ha trovato una fusione di linguaggio, di
espressione e di atmosfera che rendono infinitamente difficile trovare delle pecche o degli errori. I brani di questo disco si rivolgono un poco a tutti:
agli appassionati di jazz ed anche a chi con il jazz non ha molta dimestichezza. Chet ha superato la barriera che divide normalmente le due classi
degli acquirenti di un disco, ha saputo cioè legare, senza peraltro cedere di un millimetro da quelli che sono i suoi canoni fondamentali di
espressione, la linea romantica degli archi e la sua introversa e precisa espressione jazzistica. Per Ezio Leoni e Giulio Libano il terreno di lavoro
con Chet è spianato: non c’era bisogno di costruire oltre misura, vi era la necessità di ampliare, di valorizzare, di galvanizzare quello che Chet
trovava da dire nel suo intimo.
E indubbio che vi sono riusciti con una tecnica di costruzione dei brani semplice ma efficacissima. Hanno alternato così a brani più lirici, altri più
stringati, più vivi, hanno insomma fatto in modo che il disco nella sua alternanza di brani non avesse nessuna monotonia, ma fosse un continuo
alternarsi di tempi, di espressioni, di atmosfere. Hanno così creduto bene di raccogliere intorno a Chet una grande formazione che si avvalesse
non solo di molti musicisti, ma che avesse il suo nucleo fondamentale composto dei migliori musicisti di jazz italiani. Per la cronaca infatti
l’orchestra che ha inciso questi disco era composta di 16 violini, 4 viole, 4 violoncelli, un flauto, un clarino basso, un oboe, un corno francese,
un’arpa ai quali facevano riscontro il sax contralto di Glauco Masetti, il sax baritono di Fausto Papetti, il trombone di Mario Pezzotta, il sax tenore di
Gianni Basso, il contrabbasso di Franco Cerri, la batteria di Gene Victory. Un complesso imponente che ha saputo amalgamare perfettamente ed
alternare nelle esecuzioni strumenti prettamente jazzistici con gli archi.
Il repertorio di cui il disco è composto spazia moltissimo: dai motivi notissimi come «Angel Eyes» (che Chet minia con la sua voce), «When I Fall
In Love» o «I Should Care», ad altri meno noti ma piacevolissimi con «The Song Is You» o «Forgetful». Altri brani poi si prestano perfettamente ad
un’orchestrazione di più ampio respiro come è il caso di «Autumn In New York», di «Violets For Your Fur» o di «Deep In A Dream». Qualche altro
tema è stato poi trattato con un parsimonioso intervento degli archi, quasi una coronamento di tutta l’esecuzione, mentre gran parte del tema
poggia sulle note di Chet e sull’insieme dei musicisti di jazz del complesso. È questo il caso ad esempio di «Street Of Dreams». Per ultimo vi è
«Good-bye». Un brano di una tristezza eccezionale dove Chet esprime se stesso in un modo validissimo ed insolito.
I brani sono stati incisi il 28 Settembre 1958 e 5 Ottobre 1959 presso lo studio di registrazione Guertler Bros.
Stampato in edizione limitata 100 copie, vinile rosso trasparente